(Dalla riflessione di Mons. Nicolli, terza parte)
La santità: intreccio tra la povertà umana e la misericordia di Dio
… C’è il rischio che un ideale troppo “perfetto” abbia l’effetto di scoraggiare; o che coltivare l’ingenuità di un sogno spirituale non corredato dalle “difese” adatte a sostenere l’inevitabile impatto con la croce, sia alla fine un inganno che invece di dare la necessaria attrezzatura per sostenere la “buona battaglia” della fede e della testimonianza dell’amore[1], crea una fragilità pericolosa e prepara l’abbandono di ogni ideale.
Il rimedio a questi rischi non è quello di abbassare l’orizzonte della proposta cristiana o annacquare il messaggio. Si tratta piuttosto di capire meglio il mistero della “vocazione alla santità”, alla quale Dio chiama tutti, partendo dalla loro persona e dalla loro storia: una chiamata incarnata nel quotidiano e che non esclude l’esperienza della povertà, della fatica, della sofferenza, perfino del fallimento: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”[2]. Del resto, protagonista di una storia di santità non è la bravura dell’uomo ma la misericordia di Dio che si intreccia con l’amore povero e discontinuo dell’uomo.
Credere nella famiglia, in ogni famiglia
… Se la famiglia oggi merita un atto di fede, ciò non è dovuto alla convinzione che essa sia perfetta. Sono sotto gli occhi di tutti le fragilità della famiglia nel nostro tempo, e i fallimenti sempre più frequenti possono perfino far pensare che la famiglia sia in fase di disarmo. Oggi grazie a Dio esistono delle famiglie splendide, di ogni età e soprattutto tra i giovani, serene nelle loro relazioni tra gli sposi e con i figli, attente alla loro missione sociale ed ecclesiale: e queste sono senza dubbio un segno di primavera per la Chiesa. Ma questo non basta a farci “credere nella famiglia”. È soprattutto per il “mistero grande” che essa racchiude, per la realtà teologica che essa rappresenta. Dobbiamo guardare con questa fede alla famiglia, intuendo il mistero profondo che c’è dentro ogni vicenda familiare: un mistero spesso nascosto e reso indecifrabile dalla povertà umana ma comunque presente per la grazia di Dio. Possiamo “credere nella famiglia” perché ogni storia di vero amore è una storia abitata da Dio, una “storia sacra”: Dio si è compromesso con gli sposi nel sacramento e, dal momento che egli è un Dio fedele, non li abbandona più, nemmeno quando la loro vicenda diventa difficile o si impoverisce, nemmeno quando incontra il fallimento umano di un progetto.
… Siamo chiamati a credere che in ogni persona e in ogni famiglia c’è un mistero di Dio che si realizza al di là della loro consapevolezza e della loro coscienza. La povertà e gli errori umani non sono mai così gravi da essere irreparabili perché l’amore di Dio è capace di trasformare persino la valle di Acor– che è la valle della maledizione – in “porta di speranza”[3].
[1] Cfr. 1Tim 1,18; 6,12; 2Tim 4.7.
[2] Rom 8,28.
[3] Os 2,17