Devo fare due premesse. La prima: quando Miriam mi ha chiamato per chiedermi di fare questa testimonianza, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato un bel “No”, ma le ho detto che ci avrei pensato fino a domenica sera (era sabato). Poi sono andata a dormire e il cuore ha avuto la meglio sulla ragione, perché mi sono venuti spontaneamente alcuni pensieri su Anna Maria e sono riaffiorati alcuni ricordi senza che io facessi alcuno sforzo di memoria; così mi sono detta: «Forse questo è un segno»; e allora ho accettato, anche in virtù del motto degli scout che è Estote parati, ossia “Siate pronti”. Questa cosa ogni tanto m’incastra: caspita, bisogna essere pronti.
Poi faccio un’altra premessa: io di lavoro faccio l’educatrice, sono catechista e sono scout: tre cose che mi fanno stare a contatto con i bambini, gli adolescenti e i giovani e sono perciò abituata a parlare con loro, ossia con una fascia di età che va dai 6 ai 21 anni.
Mi sono impegnata a fare una testimonianza che avesse il taglio giusto per degli adulti come siete voi; poi però, rileggendola, mi sono accorta che non andava bene: sembrava più che altro un componimento scolastico; mi sono detta: mi scuseranno, ma per arrivare al cuore della gente bisogna usare un linguaggio semplice, e così ho pensato d’iniziare con un piccolo racconto.
Un giorno, uscendo dal convento, San Francesco incontrò Frate Ginepro: era un frate semplice e buono, e San Francesco gli voleva molto bene; incontrandolo gli disse: «Frate Ginepro, vieni: andiamo a predicare». «Padre mio – rispose – sai che ho poca istruzione; come potrei parlare alla gente?». Ma poiché San Francesco insisteva, Frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti; sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri; scambiarono qualche parola coi più anziani; accarezzarono i malati; aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua. Dopo aver attraversato più volte tutta la città, San Francesco disse: «Frate Ginepro, è ora di tornare al convento». «E la nostra predica?». «L’abbiamo fatta, l’abbiamo fatta. — rispose sorridendo il santo – Se hai in tasca del muschio, non hai bisogno di raccontarlo a tutti: il profumo del muschio parlerà in tua vece; la predica migliore sei tu».
E così io devo dire che Anna Maria ha parlato a me col suo modo di essere e di fare le cose, proprio come in questo racconto hanno fatto i due frati, anche perché io l’ho conosciuta da bambina, e, come ben sapete, da bambini non si ricordano tanto le parole che ci lasciano gli adulti, ma si ricorda più che altro quello che ci hanno lasciato come modo di essere. Ho conosciuto Anna Maria da bambina, quando andavo al catechismo; non ho un ricordo preciso delle cose che ci spiegava, ma restano in me le emozioni e i sentimenti che hanno suscitato; non ho parole o insegnamenti lasciati da Anna Maria da riportarvi, ma ho da raccontarvi una manciata di ricordi: ricordi di bambina, riletti ora che sono adulta.
C’è Anna Maria che arriva al catechismo con la sua macchina blu, che sale da casa sua e svolta l’angolo della strada fino al centro pastorale; e ci siamo noi bambini che non perdiamo di vista quell’angolo perché sappiamo bene che si può giocare fino all’arrivo della catechista, ma che bisogna entrare subito quando parcheggia la sua auto. Anna Maria ci vuole intorno al tavolo della saletta belli pronti e svegli per la lezione di catechismo. Ci fa leggere a turno e ci porta tanti esempi per rendere più comprensibile il testo; durante la spiegazione c’è sempre qualche compagno più discolo degli altri e Anna Maria lo riprende in modo fermo e deciso: il suo volto è un po’ accigliato; niente di preoccupante, però, perché il suo sorriso dolce torna presto, soprattutto quando deve rispondere alle numerose domande che noi le facciamo.
Che cosa c’è dietro questi ricordi? C’è l’importanza di essere radicati in una realtà, in una quotidianità, in una comunità parrocchiale, con un servizio concreto agli altri, in questo caso il catechismo che Anna Maria ci faceva. C’è il bello di sorridere alla vita e al prossimo; e la sua espressione serena per noi è stata sempre di grande conforto e di grande sollievo. C’è la necessità di fare bene le cose e di prepararsi con competenza; e le sue lezioni di catechismo non erano di certo improvvisate: questo lo si respirava; noi anche da bambini lo sentivamo.
Tutti noi ci portiamo dentro un pezzettino delle persone che abbiamo incontrato nella nostra vita, che intenzionalmente o inconsciamente ci hanno aiutato a crescere; tra queste persone ci metto anche Anna Maria, che mi ha messo dentro alcuni semini; adesso ve li dico.
– Il semino della sobrietà. Erano gli anni ’80 – l’ho conosciuta proprio in quegli anni — gli anni delle grandi mode, se qualcuno di voi ricorda. Per noi futuri adolescenti, spopolavano i paninari, allora, e le grandi firme; e Anna Maria, col suo modo di vestire – aveva infatti una moda tutta sua – insegnava che ciò che conta è l’essere e non certo l’apparire.
– Mi ha messo dentro il semino del servizio. Forse non è un caso che io sia diventata catechista molto presto: in terza superiore mi hanno incastrato; essere catechista è stato il primo grande servizio verso gli altri; prima infatti avevo sempre fatto piccoli servizi all’interno dello scoutismo e all’oratorio estivo, ma il primo servizio non saltuario è stato proprio il catechismo.
– Infine il semino più importante: quello della scelta. Sempre gli anni ’80 erano gli anni del “qualsiasi cosa fai…” ( e lo dice anche una canzone). Anna Maria, con la sua vita non casuale ma fatta di scelte, ne testimoniava il contrario; insegnava a progettare, a non lasciare che i giorni trascorressero inoperosi; insegnava che la vita va vissuta in pienezza.
Ad Anna Maria, che ho incontrato sul mio cammino, grazie! grazie perché è stata per me un modello saldo, in un’età, quella dell’infanzia, in cui è importante avere dei punti di riferimento. E così come ho iniziato, concludo con un altro racconto, che mi è venuto in mente pensando ad Anna Maria.
Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordinatissima processione di persone che avanzavano lentamente verso il Giudice supremo: Man mano che si avvicinava alla meta, udiva sempre più distintamente le parole del Signore. Udì così che il Signore diceva ad uno: «Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull’autostrada e mi hai portato all’ospedale; entra nel mio paradiso»; poi ad un altro: «Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova; vieni a ricevere il premio eterno»; e ancora: «Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgiche molto difficili, aiutandomi a ridare la speranza a molti; entra nel mio regno»; e così via. La povera donna venne presa dallo sgomento perché, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale. Cercò di lasciare la fila per avere il tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile: un angelo sorridente ma deciso non le permise di abbandonare la lunga coda. Col cuore che le batteva forte e tanto timore, arrivò davanti al Signore; subito si sentì avvolta dal suo sorriso: «Tu hai stirato tutte le mie camicie; entra nella mia felicità».
A volte è così difficile immaginare quanto sia straordinario l’ordinario. E io penso che Anna Maria abbia reso straordinario l’ordinario suo e di tutti quelli che ha incontrato.