(Dalla riflessione di Mons. Nicolli, seconda parte)
Da bene privato a dono per la comunità
… La chiamata alla santità non è un privilegio riservato al bene personale delle persone e della coppia cristiana, ma una vocazione a vivere l’amore come un dono per la comunità. Anche qui il Rito del matrimonio sancisce una novità assoluta che è venuta maturando nella Chiesa in questi decenni grazie alla riflessione teologica e alla vita pastorale nella quale sono state coinvolte come soggetti attivi migliaia di coppie di sposi e di famiglie cristiane: si è passati da una visione del matrimonio privatistica e prevalentemente giuridica, a una comprensione comunitaria e più evidentemente sacramentale, da una concezione nella quale ci si sposava in chiesa per coronare un sogno di coppia, per avere un aiuto in più per essere fedeli perché questo sogno fosse portato a compimento, a una concezione che vede nell’amore vissuto “in Cristo e nella Chiesa” il servizio che la coppia può assumere verso la comunità. È un servizio indispensabile, tanto che per questo servizio la coppia viene abilitata con un sacramento e riceve lo Spirito Santo. Questa è forse la novità più sostanziale.
Consacrati dallo Spirito Santo
Mentre nel Rito precedente non c’era per nulla l’invocazione allo Spirito Santo, il nuovo Rito contiene in diversi momenti il riferimento e l’invocazione dello Spirito…
Con il dono dello Spirito Santo avviene qualche cosa di nuovo: la storia di amore di questi sposi, storia umanissima, ricca ma insieme fragile e povera, si trova lì davanti all’altare, davanti alla comunità e si chiede che lo Spirito la trasformi in una “storia di salvezza” non soltanto per i protagonisti che la vivono ma anche per la comunità. In forza di questa consacrazione questi sposi diventano servitori della comunità: non facendo cose straordinarie ma facendo bene gli sposi, vivendo bene la loro testimonianza di sposi e domani di genitori. Questa benedizione assume il tono vero e proprio di una epiclesi: una invocazione dello Spirito fatta con le mani distese dal sacerdote o dal diacono. Nella liturgia troviamo il gesto dell’imposizione delle mani nella consacrazione del pane e del vino, nella consacrazione dei preti, dei vescovi, nella Cresima, nella professione religiosa: ora la troviamo anche nella benedizione/consacrazione degli sposi. Gesto antichissimo che già negli Atti degli Apostoli indica, quando è compiuto sulle persone, una consacrazione per un ministero nella comunità: lo Spirito assume questa realtà umana e la trasforma, la rende capace di diventare una realtà significativa che trasmette una presenza di Dio.
Per essere inviati
… Quando parliamo del sacramento, non intendiamo soltanto la celebrazione, ma la vita stessa degli sposi, la realtà quotidiana della loro esistenza, che diventa segno sacramentale di salvezza: essi diventano benedizione di Dio, una concretizzazione dell’amore di Dio nella comunità…
Per la edificazione del popolo di Dio
È importante a questo punto richiamare l’analogia profonda che nel Rito del matrimonio viene stabilita con l’Ordinazione dei presbiteri… Ordine e Matrimonio nella Chiesa sono due sacramenti che “edificano il popolo di Dio”. È detto esplicitamente nel Catechismo della Chiesa cattolica[1]: “Due altri Sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui; se contribuiscono alla salvezza personale questo avviene attraverso il servizio agli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa, servono all’edificazione del popolo di Dio”.
Vi fa eco anche il Catechismo degli adulti, promulgato dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1995; il sacramento del Matrimonio e il sacramento dell’Ordine vengono raggruppati nello stesso capitolo con il titolo “I sacramenti per il servizio della comunità””[2].
Noi veniamo da secoli di pregiudizi che hanno creato la convinzione che solo il sacerdozio ministeriale e la vita religiosa siano un bene per la comunità… La riflessione di questi decenni ha portato a chiarire che invece anche il Matrimonio è dato agli sposi per la costruzione della comunità. In passato era chiaro che chi si faceva prete (o religioso/a) non lo faceva per se stesso ma per il servizio agli altri, ma era altrettanto scontato che chi si sposava lo faceva per se stesso, per la coppia, per la propria famiglia; la comunità non era considerata, anzi veniva spesso tenuta lontana… La Chiesa ha bisogno di ambedue questi sacramenti per essere “sana”. Finché la Chiesa si è costruita e appoggiata soltanto sul sacramento dell’Ordine, abbiamo avuto una Chiesa clericale; oggi essa è chiamata a camminare più speditamente con ambedue le gambe, lasciandosi costruire e caratterizzare da ambedue i sacramenti che Cristo le ha dato per il servizio agli altri e per la edificazione del popolo di Dio.
Presbiteri e sposi insieme nel servizio pastorale
Vocazione al matrimonio e vocazione al sacerdozio ministeriale (e alla vita consacrata) sono due vocazioni che si illuminano e si sostengono a vicenda: l’una ha bisogno dell’altra. Gli sposi hanno bisogno della testimonianza dei sacerdoti e dei consacrati, per ricordarsi che l’amore coniugale non deve esaurirsi all’interno della propria casa, perché la casa, che può davvero essere un “cantiere di santità” per la coppia cristiana, potrebbe anche diventare la tomba dell’amore. L’amore non può rimanere chiuso all’interno della coppia, nemmeno all’interno di una famiglia, ma deve espandersi e fare famiglia al di là delle mura domestiche: anche l’amore coniugale è chiamato ad essere una ricchezza sociale e una risorsa per edificare la comunità cristiana. Nello stesso tempo noi presbiteri (e con noi tutti i “consacrati” nella vita religiosa) abbiamo bisogno di essere a contatto con la quotidianità dell’amore degli sposi: con il suo calore accogliente, con la sua tenerezza, con le sue fatiche e i sacrifici enormi che anche la vita di famiglia chiede agli sposi. La loro testimonianza diventa importante perché il nostro amore non diventi gretto e povero di umanità ma si lasci riscaldare e rinnovare per diventare segno della tenerezza di Dio. Abbiamo bisogno di imparare reciprocamente ad essere Chiesa, perché ognuno dei due sacramenti contiene degli ingredienti che costruiscono la bellezza di una comunità cristiana.
La famiglia, risorsa per la comunità per quello che è
Dicendo che gli sposi cristiani sono inviati per essere una ricchezza della comunità, un “bene comune”, intendiamo dire che la risorsa sta nel loro “essere” prima ancora che nel “fare”… Attenzione però quando parliamo di servizio alla comunità. Ci sono delle stagioni nelle quali la coppia cristiana può compiere dei “servizi” nella comunità: il consiglio pastorale, la catechesi, l’accompagnamento dei fidanzati verso il matrimonio, ecc. Ma ci sono delle stagioni nelle quali la coppia è assorbita al 90% dalle proprie relazioni familiari, dai compiti genitoriali, dal lavoro, dagli imprevisti (malattie, stanchezza, difficoltà nella relazione di coppia o con i figli…)… naturalmente mantenendo la sua presenza nei momenti liturgici e nella vita sociale. In queste stagioni la coppia non si ritira per una specie di “aspettativa dal servizio”, ma continua il suo servizio nella testimonianza dell’amore nelle relazioni familiari. Il primo compito che deriva dal sacramento è la testimonianza dell’amore, e questa rimane la più grande ricchezza che una famiglia può trasmettere alla comunità. Se a furia di stare fuori casa per servire la parrocchia una famiglia dovesse impoverirsi nelle relazioni tra gli sposi e con i figli, non sarebbe in grado di esportare che frustrazioni e povertà…
Il “Vangelo della famiglia”
La famiglia cristiana è chiamata ad essere “vangelo vivo” e “buona notizia” per il mondo di oggi… la vita matrimoniale e familiare, quando è vissuta secondo il disegno di Dio, costituisce un “vangelo”, cioè un “lieto annuncio” per la comunità: gli sposi con la loro vita sono segno sacramentale dell’amore di Dio, sono chiamati ad un servizio nella comunità, non solo per quello che fanno, ma anzitutto per quello che sono.
[1] N. 1534
[2]La verità vi farà liberi – Catechismo degli adulti, n. 718
3 – SOLO IL “MATRIMONIO PERFETTO” PUÒ ESSERE UNA STRADA DI SANTITÀ?